Nei primi mesi dell’anno il governo non si è lasciato sfuggire l’occasione per lanciarsi in una serie di annunci trionfali che vantavano il miracolo compiuto dalla riforma del lavoro nel creare nuova occupazione.
Peccato che si trattasse di solenni panzane, dovute ad una lettura “ad usum delphini” dei dati sull’occupazione forniti dall’Istat (ad esempio dimenticandosi di sottrarre le cessazioni). Un’operazione tanto smaccata e truffaldina che, uno dopo l’altro, ogni singolo annuncio è stato poi clamorosamente smentito nel giro di 48 ore da parte della stampa, dalla quale non sono mancate pesanti bordate e ironici commenti indirizzati al governo per avere utilizzato i dati statistici in maniera troppo, diciamo così, “disinvolta”.
Dopo avere rimediato clamorose figuracce fino ad essere addirittura bacchettato dalle pagine del quotidiano della Confindustria, oggi il governo tiene invece un profilo più che basso, anche perché i dati relativi ai primi tre mesi dell’anno non forniscono certo un risultato esaltante quanto a nuova occupazione.
A titolo di esempio, i dati Istat relativi al mese di Marzo (gli ultimi a disposizione) ci dicono che in quel mese sono svaniti 59 mila posti di lavoro rispetto al precedente mese di febbraio e che l’occupazione è tornata ai livelli del marzo 2014; inoltre sempre nello stesso mese il tasso di disoccupazione è risalito al 13% mentre il tasso di disoccupazione giovanile è arrivato al 43,1%.
Se poi si prendono in esame i nuovi contratti effettivi (non le trasformazioni) confermati dal ministro Poletti per i due mesi di gennaio-febbraio (45.703) e li si compara con il totale del primo trimestre (54.100) si può facilmente verificare che nel mese di Marzo il dato dei nuovi contratti a tempo determinato raggiunge la cifra astronomica di 8.407 !
Il solo risultato ottenuto ad oggi dal governo consiste quindi nella trasformazione di contratti precari (tempo determinato e apprendistato) in contratti a “tutele crescenti” grazie al gradito regalo fatto alle imprese con la Legge di Stabilità 2015 che prevede la decontribuzione per la durata di tre anni e che può arrivare ad un massimo annuo di 8.060 euro.
Un dono tanto gradito che le imprese, dalle più blasonate fino alle più piccole, ne hanno approfittato a man bassa sin dai primi giorni di Gennaio, quindi ben prima del 7 Marzo scorso, giorno della definitiva entrata in vigore del Jobs Act, applicando però – come certifica l’Inps – un piccolo, quasi impercettibile, taglio agli stipendi dei nuovi assunti (trasformati) a titolo di non di sa cosa (gratitudine forse?).
La cosa non è certo sfuggita al governo: Dalla sua pagina di Facebook Renzi ha infatti dichiarato lo scorso 11 maggio:
“I dati ufficiali INPS sul lavoro ci dicono che la strada da percorrere è ancora lunga, ma la macchina finalmente è ripartita. Dopo cinque anni di crollo costante, tornano a crescere gli occupati. Il fatto che molti di questi contratti siano agevolati dalle misure del Jobs act (stabilità, sgravi, tutele crescenti, taglio irap) è sicuramente un fatto positivo.
Mi colpisce che ci sia chi dice: ‘Beh però una parte non sono nuovi contratti, ma regolarizzazioni e stabilizzazioni’, fa sorridere! Era infatti proprio quello che volevamo.”
Ebbene, se questo era il risultato che il governo si prefiggeva crediamo ci sia poco da sorridere !
Infatti, in data 14 maggio scorso l’Ancl (Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro) ha pubblicato sul suo sito un comunicato dal titolo allarmante “Jobs Act e tutele crescenti, l’Ancl consiglia di evitare la conversione dei contratti a termine”.
In breve, “Ci potrebbe essere un’eccezione di illegittimità costituzionale nella conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, seguendo la nuova normativa sulle tutele crescenti prevista dal Jobs Act.
Per questo l’Ancl, il sindacato unitario dei consulenti del lavoro, in una nota consiglia di non procedere alla conversione dei contratti a termine, ma di aspettare la loro naturale scadenza ed effettuare quindi una nuova assunzione del dipendente che si vuole stabilizzare.”.
Il problema sollevato dall’Ancl nasce dal fatto che il testo della Legge Delega 10 dicembre 2014, n.183, all’articolo 1, comma 7, sub c) parla esplicitamente di “nuove assunzioni”, termine che potrebbe confliggere con quanto sancito dal Decreto Legislativo 23/2015 del 4 marzo 2015 “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” che prevede invece l’applicabilità “anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato”.
In buona sostanza, sussiste il dubbio che con quest’ultimo Decreto Legge il governo abbia superato quanto previsto dalla Legge Delega approvata dal parlamento, incorrendo in un “eccesso di delega”.
“Se la questione sollevata fosse fondata – afferma Francesco Longobardi, presidente nazionale Ancl – il rischio è che una eventuale pronuncia della Corte Costituzionale, che può avvenire anche fra anni, porti all’applicazione della disciplina generale sui licenziamenti a contratti che si era creduto di stipulare a tutele crescenti, con un altrettanto evidente rischio di pesanti sanzioni per le imprese”.
“Mi colpisce che ci sia chi dice: ‘Beh però una parte non sono nuovi contratti, ma regolarizzazioni e stabilizzazioni’, fa sorridere! Era infatti proprio quello che volevamo.” afferma Renzi.
MA NE SIETE DAVVERO SICURI ?